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Steve McCurry in mostra a Ventimiglia

Foto: Weligama, Sri Lanka, 1995 © Steve McCurry

Fino al 4 settembre, nel Museo Archeologico G. Rossi di Ventimiglia, 70 scatti che ci raccontano il cibo come fonte di vita ed espressione di tradizioni e culture

Steve McCurry è considerato, da oltre trent’anni, una delle voci più autorevoli della fotografia contemporanea.
La maestria nell’uso del colore, l’empatia e l’umanità rendono le sue fotografie indimenticabili. Un’infinità di copertine tra libri e riviste ospitano le sue immagini, sono state pubblicate circa venti sue monografie e le sue mostre aperte in tutto il mondo si susseguono senza sosta.

In una fase storica in cui le culture occidentali mettono al centro dei loro interessi il cibo, anche la fotografia artistica, fedele specchio dei tempi, ne è stata sostanzialmente influenzata.
In pochi anni il cibo si è fatto arte, passione, competizione, in un vortice delirante. La collezione di immagini di McCurry si pone in controtendenza e afferma che il cibo, ad iniziare dal pane, resta un elemento vitale per il genere umano e l’espressione diretta di culture legate a territori e a quanto possono offrire.
Parla del rapporto tra umanità e terre impervie, racconta luoghi torturati da guerre o calamità naturali, ma non dimentica il rigoglio dei mercati e la bellezza della natura al servizio dell’uomo.
Cibo nella sua accezione primaria, quella che fonda e rinnova i rapporti tra gli esseri umani come la felicità di ritrovarsi intorno a un piatto, magari povero, magari seduti a terra; cibo come socializzazione, affetto familiare e rassicurazione; cibo come fonte di vita.

Una vita in viaggio, per raccontarci luoghi e culture lontane

Nato nei sobborghi di Philadelphia, McCurry studia cinema e storia alla Pennsylvania State University, prima di iniziare una collaborazione con un giornale locale.
Dopo molti anni come freelance compie un viaggio in India, il primo di una lunga serie. Con poco più di uno zaino per i vestiti e un altro per i rullini, viaggia nel subcontinente, esplorando il paese con la sua macchina fotografica.

Dopo molti mesi di viaggio, attraversa il confine con il Pakistan. Incontra un gruppo di rifugiati dell’Afghanistan, che gli permettono di entrare clandestinamente nel loro paese, proprio quando l’invasione russa chiudeva i confini a tutti i giornalisti occidentali. Ne riemerge con i vestiti tradizionali e una folta barba, dopo molte settimane trascorse con i Mujahideen. Mccurry sarà il primo in grado di mostrare al mondo le immagini del conflitto in Afghanistan. I suoi scatti saranno il volto umano dei titoli dei giornali.

Da allora McCurry ha continuato a scattare fotografie mozzafiato in tutti i continenti. I suoi lavori raccontano di conflitti, di culture in via di sparizione, di tradizioni antiche e di tendenze contemporanee. Nella sua fotografia l’elemento umano resta centrale e lo dimostra, in tutta la sua potenza, l’immagine più famosa di McCurry: la ragazza afgana.